Marina Abramovic

                                                                                                  Serbia (Belgrado) 30 novembre 1946 

Attiva fin dagli anni 60 viene identificata come la nonna della "performance art", la sua arte fonde artista e pubblico, e un contrasto tra limiti del corpo e limiti della mente. 

PERFORMANCE:

Rhythm 10, 1973

Nella sua prima performance, esplora elementi di ritualità gestuale. Usando venti coltelli e due registratori, l'artista esegue un gioco russo nel quale ritmici colpi di coltello sono diretti tra le dita aperte della mano (il gioco del coltello). Ogni volta che si taglia, deve prendere un nuovo coltello dalla fila dei venti che ha predisposto e l'operazione viene registrata. Dopo essersi tagliato venti volte, l'esecutore fa scorrere la registrazione, ascolta i suoni e tenta di ripetere gli stessi movimenti, cercando di replicare gli errori, mescolando passato e presente. Tenta di esplorare le limitazioni fisiche e mentali del corpo: "Una volta che sei entrato nello stato dell'esecuzione, puoi spingere il tuo corpo a fare cose che non potresti assolutamente mai fare normalmente" (Kaplan).

Rhythm 0, 1974


Performance avvenuta nello Studio Morra a Napoli. Abramović si presenta al pubblico posando sul tavolo diversi strumenti di "piacere" e "dolore"; fu detto agli spettatori che per un periodo di sei ore l'artista sarebbe rimasta passivamente priva di volontà e avrebbero potuto usare liberamente quegli strumenti con qualsiasi volontà. Si era imposta tale prova in un tempo prefissato secondo una strategia di John Cage, adottata da molti altri artisti performativi allo scopo di dare un inizio e una fine a un evento non lineare.[7]

Ciò che era iniziato piuttosto in sordina per le prime tre ore, con i partecipanti che le giravano intorno con qualche approccio intimo, esplose poi in uno spettacolo pericoloso e incontrollato; tutti i suoi vestiti vennero tagliuzzati con le lamette; nella quarta ora le stesse lamette furono usate per tagliare la sua pelle e succhiare il suo sangue. Il pubblico si rese conto che quella donna non avrebbe fatto niente per proteggersi ed era probabile che potesse venir violentata; si sviluppò allora, tra il pubblico, un gruppo di protezione e, quando le fu messa in mano una pistola carica e il suo dito posto sul grilletto, scoppiò un tafferuglio tra il gruppo degli istigatori e quello dei protettori. Mettendo il proprio corpo in condizione di essere leso, anche fino alla morte, la Abramović aveva creato un'opera artistica molto seria: "Affrontare le sue paure in relazione al proprio corpo".[7][8]

Rhythm 5, 1974

Il numero "5" del titolo fa riferimento a una stella a cinque punte. Furono realizzate due stelle con assi di legno posizionate una dentro l'altra. Con quest'opera l'artista ha cercato di rievocare l'energia prodotta dal dolore, in questo caso utilizzando una grande stella intrisa di petrolio, che accende all'inizio della performance. Rimanendo fuori dalla stella, la Abramović inizia a tagliarsi i capelli e le unghie di mani e piedi. Terminata ognuna delle operazioni, inizia a gettare i ritagli nelle fiamme, creando ogni volta un'esplosione di luce. Bruciando la stella a cinque punte l'artista ha voluto rappresentare il concetto di purificazione fisica e mentale, riferendosi contemporaneamente all'appartenenza politica del suo passato.

Nell'atto finale della purificazione, Marina Abramović salta attraverso le fiamme, spingendosi nel centro della grande stella. A causa della luce e del fumo che emana dal fuoco, l'osservatore non si rende conto che, una volta all'interno della stella, l'artista ha perso conoscenza a causa della mancanza di ossigeno. Alcuni membri del pubblico comprendono cosa è accaduto, solo quando le fiamme le giungono molto vicino al corpo. Un medico e vari spettatori intervengono per estrarla dalla stella.

Abramović più tardi commentò su questa esperienza: "Ero molto arrabbiata perché avevo capito che c'è un limite fisico: quando perdi conoscenza non puoi essere presente; non puoi esibirti." (Daneri, 29).

Art Must Be Beautiful, 1975

Nel corso di questa performance, l'artista si spazzola i capelli per un'ora con una spazzola di metallo nella mano destra e contemporaneamente si pettina con un pettine di metallo nella sinistra mentre ripete continuamente "L'arte deve essere bella, l'artista deve essere bello" fino a quando si sfregia il volto e si fa sanguinare la cute.

Thomas Lips, 1975

In questa esecuzione esplora all'estremo i limiti fisici del proprio corpo arrivando, tramite una serie di azioni, anche a superarli. Esordisce mangiando un chilogrammo di miele con un cucchiaio d'argento, prosegue bevendo un litro di vino bianco e rompendo con la sua stessa mano il bicchiere. Poco a poco l'azione diventa più violenta, e culmina in atti di autolesionismo, come l'incisione di una stella a cinque punte che l'artista pratica con un rasoio sul proprio ventre: è un'immagine violentissima e cruda che diventa una vera e propria icona della performance art. Facendo riferimento a diversi temi propri della fede cristiana e a riti di purificazione e di autopunizione, si fustiga e si distende su una croce composta di blocchi di ghiaccio e, mentre un getto d'aria calda diretta sul suo ventre fa sanguinare la stella incisa, il resto del corpo comincia a gelare. Gli spettatori, che non riescono a rimanere passivi dinanzi a una simile visione, intervengono togliendola di forza dallo stato di congelamento. L'esecuzione diventa un dialogo, un rapporto diretto di azione e reazione, tra l'esecutrice e lo spettatore che non può restare inattivo mentre assiste in prima persona all'azione ed è quindi psicologicamente costretto a reagire. La reazione dello spettatore diventa l'oggetto dell'esecuzione.

Freeing The Body, 1976

Si avvolge la testa in una sciarpa nera e inizia a muoversi a ritmo di un tamburo africano, balla finché non è completamente esausta e cade per terra; l'esecuzione dura otto ore.

Freeing The Memory, 1976

L'artista rimane seduta con la testa reclinata all'indietro mentre pronuncia tutte le parole che è in grado di ricordare: parla prevalentemente serbo-croato, ma anche inglese e olandese. Recitando tutte le parole immagazzinate nella propria mente tenta di liberarsi della lingua acquisita intesa come convenzione comunicativa.

Freeing The Voice, 1976

Sempre nel corso di tale performance, la Abramović giace supina con la testa reclinata all'indietro, in modo che il suo volto sia perfettamente visibile al pubblico, spalanca la bocca ed inizia ad emettere un unico suono atono. Inizialmente sembra un grido di richiesta di aiuto poi diviene più introverso e successivamente, incontrollato. Il senso dell'esecuzione è da ricercarsi nell'istintivo rispondere al grido da parte del pubblico: la reazione dello spettatore diventa l'esecuzione stessa. Poi la sua voce vacilla, si trasforma in pesante respirazione ed infine muore. Il fisico è stato svuotato e l'annullamento del corpo segue quello della mente. La stessa Marina Abramović, in un'intervista relativa a questo lavoro dice: "Quando gridi in questo modo, senza interruzione, in un primo momento riconosci il suono della tua stessa voce, ma successivamente quando ti spingi ai tuoi stessi limiti la tua voce diventa un puro oggetto sonoro".

Freeing The Body, Freeing The Memory e Freeing The Voice sono una serie di esecuzioni in cui Marina Abramović si prefigge il fine di purificare il proprio corpo e la propria mente e di scivolare in uno stato di incoscienza; quindi nella prima muove incessantemente il proprio corpo fino a crollare a terra; nella seconda riprende parole dalla propria memoria fino a non ricordare più nulla e nella terza urla fino a perdere la voce.

Imponderabilia, 1977

In collaborazione con l'artista tedesco e suo compagno Ulay, Marina Abramović mostra a Bologna presso la Galleria d'arte moderna la performance. Entrambi sono in piedi, nudi, ai lati di una stretta porta che consente l'ingresso nella galleria. Chi vuole entrare è costretto a passare in mezzo ai loro corpi, decidendo con imbarazzo se rivolgersi verso il lato del nudo maschile o verso quello del nudo femminile[9].

Nello stesso anno, realizza la performance Spirit cooking che avrebbe poi ispirato l'omonimo libro di presunte ricette afrodisiache e di evocazione spirituale, che prevedeva l'impiego di parti di inusuali bestie morte, come il liquido seminale e il sangue di maiale.[10]

Rest Energy, 1980

In collaborazione con l'artista tedesco e suo compagno Ulay, presso il MoMA, l'artista ha presentato una delle performance che lei stessa descrive "dove io non ho il controllo". La performance si basa su Marina che brandisce un arco rivolto verso di sé, mentre Ulay ne tende la corda tirando verso il suo lato una freccia puntata sul cuore della donna.[11]

City of Angels, 1983

Video sperimentale di Marina Abramović e Ulay, prodotto da Michael Laub per la televisione belga. Ambientato in Thailandia nella città di Ayutthaya, vede la presenza di soli interpreti thailandesi, è privo di narrazione fuori campo e il sonoro è esclusivamente in lingua thailandese. Intende rappresentare la bellezza del luogo e delle sue rovine risalenti al XVIII secolo[2].

Dragon Heads, 1990

Seduta immobile su una sedia circondata da un cerchio formato da blocchi di ghiaccio, l'artista ha cinque pitoni che si muovono sul suo corpo, lunghi 2, 3 e 4 metri e privati di cibo nelle due settimane precedenti l'esecuzione.

Balkan Baroque, 1997

Performance tenuta alla Biennale di Venezia in cui l'artista, seduta su tonnellate di femori di bovino, li pulisce in modo ossessivo per 4 giorni e 6 ore, come atto di denuncia per la guerra in Jugoslavia[12][13][14].

The Hero, 2001

Performance e video in bianco e nero, durata 14'21". L'opera è dedicata al padre dell'artista, soldato che si batteva contro i nazisti nella seconda guerra mondiale, morto nello stesso anno della performance. Abramovic siede inespressiva su un cavallo bianco, tenendo una bandiera bianca che si muove con il vento. Una voce femminile canta in sottofondo l'inno nazionale jugoslavo. Il video è in bianco e nero, per enfatizzare la memoria del passato. La bandiera bianca in un contesto bellico è simbolo di resa e fine delle ostilità, il cavallo bianco rimanda anch'esso al concetto di pace, inoltre in questo caso rievoca un episodio accaduto in guerra ai genitori dell'artista.[15][16]

Mambo a Marienbad, 2001

Performance presso il padiglione Charcot dell'ex ospedale psichiatrico di Volterra[17]

The artist is present, 2010

Marina Abramović: The Artist Is Present, al Museum of Modern Art (2010)

Al MoMA di New York in uno spazio aperto in cui è collocato un tavolo e due sedie una a fronte dell'altra, l'artista seduta guarda i visitatori invitati a sedersi. La performance dura 736 ore ed è considerata una delle più lunghe performance della storia del MoMA. A tale performance si presenta inaspettatamente l'ex compagno Ulay, con cui i rapporti erano precedentemente stati burrascosi a causa di una serie di controversie sulla paternità di alcune opere. La sua presenza da' vita a un memorabile ed intenso momento di riavvicinamento tra i due artisti. [18][19][20]

The Abramovic Method, 2012

La performance ha avuto luogo a Milano presso il PAC di via Palestro. Il "Metodo Abramović" nasce da una riflessione che l'artista ha sviluppato partendo dalle sue ultime tre performance: The House With the Ocean View (2002), Seven Easy Pieces (2005) e The Artist is Present (2010), esperienze che hanno segnato profondamente il suo modo di percepire il proprio lavoro in rapporto al pubblico. Il pubblico, guidato e motivato dall'artista, è invitato a vivere e sperimentare le sue "installazioni interattive". Le opere con cui il pubblico potrà interagire rimanendo in piedi, seduto o sdraiato, sono realizzate con minerali e legno[21]. L'esperienza è fatta di buio e luce, assenza e presenza, percezioni spazio-temporali alterate. La performance consiste nell'entrare nel mondo del silenzio, lontani dai rumori, rimanere soli con se stessi e allontanarsi per poche ore dalla realtà. Lady Gaga ha partecipato a questa iniziativa, postando un video della performance.

La performance della Abramović al MoMA di New York The Artist is Present del 2010, la preparazione della quale è l'oggetto del film documentario omonimo di Matthew Akers uscito nel 2012[22], è il tema della pubblicazione Portraits in the Presence of Marina Abramović, dove il fotografo italiano Marco Anelli cattura 1.545 ritratti di forte impatto emotivo del pubblico con l'artista.

Galleria immagini

© 2021 Blog di Arte . Tutti i diritti riservati.
Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia